È alla guida del marchio Hausbrandt dal 1988. Il suo caffè viene servito al Cremlino o in un lussuoso hotel delle Maldive: esporta la tradizione italiana in più di 90 Paesi. Ha costruito, negli anni, un gruppo che definisce un “universo della qualità”, con marchi di birra e vini. Ma alcune righe sono poche, per definire Martino Zanetti. Amico della famiglia Asburgo, si occupa con passione di arte ed è anche un pittore riconosciuto, con opere di astrattismo contemporaneo

Zanetti, come è iniziato tutto? L’imprenditoria le scorreva nelle vene?

Sono un ragioniere, e dopo aver prestato servizio come ufficiale degli alpini, a 23 anni, ho acquisito una piccola azienda di caffè con 15 dipendenti. Si tostava in centro a Conegliano (in provincia di Treviso, ndr), al secondo piano di un palazzo. Eravamo in 4 gatti, allora.

Oggi i dipendenti sono 500 e la torrefazione è un grande impianto nel Trevigiano, a Nervesa della Battaglia.

Ho 77 anni: faccia lei i conti da quanti anni ho a che fare con il caffè tutti i giorni, mattino e pomeriggio. Non le dirò però che mi sono spaccato la schiena: mia regola è fare le cose senza che traspaia la fatica, con naturalezza, nello stesso modo in cui condurre i cavalli sugli ostacoli come mi insegnò il colonnello Barone de Massa.

Si è ritagliato anche il tempo per la pittura, e per la cultura. 

Da bambino la mamma e la zia mi portavano a Burano, dove c’era un’associazione artistica e culturale che si chiamava Ex Tempore: ne ricordo le figure leggendarie dell’epoca, pittori e scultori come Guidi, Saetti, Branzi, Comisso. I miei interessi culturali sono molto precisi. Un libro in mano fin da giovanissimo, dipingo da sempre, una mezz’ora al giorno. Quando incontro un dilemma lo voglio scellerare fino all’ esaustione.

La prima mostra?

Sono figlio d’ arte. Avevo 8 anni, portai tanta gente tirandola per le maniche. Ho smesso a 35 anni e per 20 anni sono rimasto fuori intenzionalmente.

Che cosa significano per lei i quadri?

La pittura è colore, non è chiacchiera. Non mi piace il Novecento, e quando ultimamente sono tornato a una kermesse di arte ho visto le stesse cose di quarant’anni fa. La creatività oggi è strangolata. E le ripetizioni sono un sintomo di decadenza. Logico, in un tempo in cui con un click puoi andare dall’altra parte del mondo. Oggi mi sto occupando di Rinascimento, delle opere di Villa Barbaro di Maser, con la collaborazione di alcuni docenti. Ne farò un convegno, appena si potrà.

Rispetto a quando lei ha iniziato a fare industria, si respira sempre la stessa aria fiera, nel Nordest dei capannoni?

Ex capannoni, a dire il vero. Se fa un giro a Conegliano vedrà i fantasmi ereditati dall’era Monti. Era un territorio di formiche, con le banche piene di denaro, e invece si raccontava noi fossimo cicale. Buon pro ha fatto a chi ha mangiato e sta mangiando tutt’ora quanto gli imprenditori avevano messo in cascina.

Rifarebbe impresa, dovesse avere oggi quei 23 anni di allora?

Capisco i ragazzi che scappano, è una difficoltà enorme. Nel ’69 presentai poco prima di Natale il progetto per il mio primo stabilimento, e il giorno dopo l’Epifania era approvato, in sei mesi stavamo già tostando. Oggi ci vorrebbero almeno tre anni, per tutta quella burocrazia che hanno attaccato addosso – come la lebbra – alla volontà dei ragazzi di fare.

Come avvenne l’acquisizione di Hausbrandt?

Ricordo quel giorno. Mi chiamò il mio amico commercialista Mario Bonamigo ero al mare. Mi disse che il marchio era in vendita. Una cessione per volontà della proprietaria, non c’era crisi. Gli risposi: lo prendiamo. Senza badare ai numeri, feci un calcolo spannometrico. Ed è andata a finire che 1 più 1 ha fatto 5.

L’imprenditore è un grande scommettitore?

Non si fa nulla da soli. La mia fortuna è stata anche avere la dote di riuscire a dialogare con le persone. Se i tuoi collaboratori li guardi negli occhi, e sorridi, ti ricambieranno sempre. L’imprenditore non fa gioco d’azzardo, ma intravede le cose prima di muoversi. E bisogna fare il contrario di chi guarda solo alla negatività passata, aderendo alla realtà, e non si apre alla positività futura.

Resta ottimista anche oggi?

Per forza. L’unica cosa che adesso si può fare è mantenere il lavoro delle persone e non mollare mai. In questo momento ci sono sul mercato delle aziende, anche per la crisi, che potremmo acquisire, ma ci stiamo riflettendo: le sfide devono essere belle, e scritte con l’accordo di altri, mai contro qualcuno. Certo ora come ora è già molto essere in condizione di pagare sempre i propri debiti, e avere messo fieno nel fienile. Il malessere è generale.

Avete risentito anche voi delle chiusure dei bar?

Se lei producesse cappelli e decapitassero le persone, a chi li venderebbe? Ma stiamo facendo i salti mortali, non abbiamo perso nulla del nostro giro d’affari. Non c’è diminuzione sensibile. Mi affiancano persone giovani, che vivono quel momento della vita in cui vorresti sbranare il mondo.

Ci sono pure i suoi figli in azienda?

Ne ho quattro. La più giovane mi ha seguito, gli altri hanno preso la propria strada. Una fa l’insegnante, uno l’attore, uno lavora nella finanza. Vogliono costruire se stessi, fanno bene. Io sono grato a mio padre che non mi ha lasciato nulla. Solo un illuso può pensare che i figli debbano assomigliargli.

Va ora in scena la terza ondata del coronavirus.

E si fa terrorismo, con chiusure a macchia di leopardo, scelte inopportune. Le pandemie della storia non hanno fatto così tanti danni all’economia. Una persona a me cara si è lasciata morire, e il medico ha parlato di autoconsunzione celebrale. Ci sono morti che personalmente ritengo una responsabilità morale di chi ha s-governato illegalmente – senza elezioni – l’Italia. Le assicuro che anche miei amici ad alti livelli ne hanno le tasche piene. Mi dicono che è stato insegnato loro a mantenere l’ordine, non a fare gli aguzzini. La mente delle persone non regge più, e predomina il fenomeno della paura. Ma si tratta in larga parte di una coercizione non reale.

Quanto morde la crisi? Cosa le dicono i suoi “colleghi” imprenditori?

Morde da matti. Oggi non si sa da dove arrivi la guerra. In un paese qui vicino degli individui hanno malmenato i vigili per la chiusura di un locale. Non ci si rende conto: siamo arrivati a manifestazioni che nemmeno i Promessi Sposi prospettavano. Ma il fai-da-te non è la soluzione. Il mio gruppo continua a crescere, temo però che nel settore ci siano aziende che traballano molto, alla spicciolata per ora, e altre che sono tenute per i capelli da fondi di investimento.

Come se ne esce?

Nessuno lo sa. Forse dando quotidiana manifestazione della volontà di non cedere. Con l’occhio sempre attento ai numeri.

Se potesse che suggerimento darebbe al governo, da imprenditore?

Il bisogno è immediato. L’Austria, qui vicina, ha messo a disposizione delle aziende 12 miliardi. Noi invece paghiamo cifre altissime all’Europa, assistiamo a una commedia sui soldi in arrivo e poi faranno la patrimoniale. Paghiamo due volte.

Dice che arriverà?

Per forza, è nella meccanica delle cose. Hanno le spalle sempre chine, gli italiani. Sono veneto e ho giurato sulla Costituzione. Mi urta che venga violata quotidianamente. Difficile trovare la forza quando non ci sono né comunisti né fascisti con cui prendersela, quando il nemico è alle spalle, in casa. Altro che fare impresa. Capisco quelli che fanno le valigie.

Lei resta. 

Bisogna avere il coraggio di rimanere. Ma Francia, Germania, Inghilterra, Austria avevano il denaro pronto per le aziende.

Si parla ancora di chiusure.  Ma se viene prima la salute…

Il nostro governo è condotto da una persona cosciente e saprà fare. Così in Veneto abbiamo un ottimo governatore, un uomo pratico, che è stato in gamba nel superare i momenti peggiori e ci ha consentito di difenderci.  In Italia c’è però una parte politica che vuole fare speculazione sulla salute e sul benessere dei cittadini. Si tratta di auto-evirazione, a questo punto.

Non solo in Italia si chiude.

Ammiro paesi come il Giappone che ha adottato un atteggiamento contrario alle frenate e corre in avanti. Quando si presenta un momento difficile io corro di più. Finiremo come il gatto sott’acqua, mi creda. Ci vorrebbe una moneta nostra, ma sono chimere. E intanto cresce la fuffa delle criptovalute, un castello costruito sul nulla.

L’economia reale invece che cos’è per lei?

Quella di Giuseppe l’artigiano, che lavora con le mani. È il mio lavoro, toccare quello che vedo, constatare attraverso il tatto e l’olfatto. Ho fatto anch’io operazioni di finanza in passato, con dei begli exploit, mi riusciva bene. Ma dai meccanismi finanziari di oggi ho il dubbio che ci cada addosso la reale inconsistenza. Ci vorrebbero ombrelli fatti di metallo, quando ci sarà il bel botto. La cessione della sovranità comporta la perdita dell’identità di cittadini e paesi. Le persone non vogliono e non devono spegnersi. Se fossi in un’altra epoca sarei tentato dal fondare un ducato indipendente.

Un ducato tutto suo?

Sì, un ducato nel quale i cittadini potrebbero autoidentificarsi. I cittadini che fanno opposizione silenziosa sono più numerosi di quanto si pensi.

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